

Il concetto di transfert nel setting analitico
Nel setting analitico, il paziente o analizzando, tende a trasferire sull’analista tutti quegli stati emotivi, quegli affetti – positivi e negativi – che ha vissuto nella propria infanzia e che ancora sono attivi nella vita adulta condizionandone anche in gran parte il comportamento nelle relazioni che egli intrattiene nella vita quotidiana con gli altri.
Questo fenomeno che costituisce una delle scoperte base di Freud è il cosiddetto transfert o translazione e consiste appunto nel ripetersi e nel riattivarsi di antiche situazioni affettive ed emotive infantili, cariche di significati e di valori per il soggetto, che trovano nella relazione analitica il terreno ideale per esprimersi.
E’ appunto attraverso l’analisi della situazione transferale che non solo si può recuperare ciò che è stato dimenticato dall’interessato, ma si può altresì procedere alla liquidazione di quei sintomi (idee fisse, ansie, fobie per determinati oggetti o situazioni, ecc.) che avevano la funzione di rappresentare e sostituire altri elementi non accettabili dalla coscienza e quindi rimossi.
Ciò che è accaduto sotto rimozione e ciò che viene significato dall’inconscio non è, di norma, aggregabile in modo diretto: le resistenze che il soggetto inconsciamente attiva sono indici di meccanismi di difesa di natura diversa.
E sono allora, come dice Freud, i frammenti di ricordi, le idee che emergono nel soggetto senza un legame apparentemente logico, i sogni, determinate azioni involontarie ma inconsciamente intenzionali, che costituiscono altrettante vie da esplorare e che fanno trapelare i significati e i conflitti ad essi sottesi.
Il nostro apparato psichico è caratterizzato da una dinamica che pone in contraddizione affetti, pensieri e tendenze e che ci indica come la nostra psiche non vada intesa come una realtà unitaria, bensì come un insieme di processi diversi e molto complessi.
Fonte: Legrenzi, P. (2012). Storia della psicologia.